Il gioco rappresenta un ottimo mezzo per favorire l’apprendimento e a ribadirlo sono i molti filosofi, antropologi e pedagogisti che negli anni hanno svolto studi ed elaborato teorie per ribadirne l’importanza.
Ma quali sono le caratteristiche che rendono il gioco un così potente strumento didattico?
Il primo a definirle fu Roger Caillois, sociologo e antropologo francese che per primo diede una definizione scientifica al concetto di gioco. Nel suo libro Man, Play, and Games definì le caratteristiche che un’azione deve possedere per essere considerata ludica: libera, separata, regolata, caratterizzata dall’entrare in una realtà fittizia, improduttiva e incerta.
- Libera significa che il gioco non deve essere un’attività obbligatoria; infatti “costringere” al gioco implica spesso la fine del gioco stesso.
- Separata indica che il gioco deve avere uno spazio e tempo ben circoscritti e definiti in partenza. L’importanza di questa caratteristica fu sottolineata anche dallo storico olandese Johan Huizinga che per primo introdusse il concetto di “cerchio magico”, lo spazio di gioco che circoscrive l’attività ludica e del quale il giocatore è pienamento cosciente. Questo spazio non è completamente impermeabile alla realtà quotidiana, ma è sufficientemente distinto per permettere al giocatore di sperimentare senza paura di sbagliare.
- Regolata da regole che costituiscono una legislazione a sé.
- Fittizia, ovvero accompagnata dalla consapevolezza di star vivendo una realtà diversa da quella quotidiana.
- Improduttiva significa che il gioco deve finire con una situazione che è identica a quella presente all’inizio del gioco, ad eccezione delle competenze e conoscenze che il gioco aiuta a sviluppare. Questa caratteristica è richiamata anche dalla definizione data dal filosofo statunitense Bernard Suits: “giocare è il tentativo volontario di superare ostacoli inutili”.
- Incerta, ovvero il risultato del gioco non può essere previsto.
La caratteristica fondamentale che garantisce l’efficacia educativa del gioco è la sua motivazione: essa deve essere di tipo intrinseco, ovvero deve essere il soggetto stesso a voler giocare.
Quando la motivazione è intrinseca, il soggetto raggiunge uno stato di coinvolgimento e concentrazione (che viene definito stato di flow) che gli fa percepire gli ostacoli come superabili. Lo psicologo ungherese Mihály Csikszentmihalyi, che per primo introdusse il concetto, lo definì come “uno stato soggettivo che le persone riportano quando sono completamente coinvolte in qualcosa al punto da dimenticare il tempo, la fatica e tutto il resto tranne l’attività stessa”. Ma affinché questo stato venga raggiunto deve esserci un equilibrio tra le sfide e le capacità percepite, come si vede nell’esemplificazione grafica della figura seguente.
Negli ultimi vent’anni queste ricerche sono state raccolte sotto il nome di game studies, un campo di ricerca multidisciplinare che pone il gioco al centro del suo operato. A quest’ambito appartiene anche il game-based learning (che tradotto significa “apprendimento basato sul gioco”), una disciplina che studia le risorse che il ludico può offrire come strumento per l’apprendimento. In questo senso essa è una vera e propria metodologia didattica che sfrutta le caratteristiche che rendono un gioco attraente e motivante per facilitare l’apprendimento.
Bibliografia
Huizinga, J. (1949). Homo ludens (Vol. 3). Taylor & Francis.
Suits, B. (1978). The Grasshopper: games, life and utopia. Broadview Press.
Caillois, R. (2001). Man, Play, and Games. University of Illinois Press.
Csikszentmihalyi, M., Abuhamdeh, S. & Nakamura, J. (2014). Flow and the foundations of positive psychology. Springer.
Nesti, R. (2017). Game-Based Learning: gioco e progettazione ludica in educazione. ETS.