Titolo del gioco e produttore: Rocketman di Phalanx (ed. Ita. Pendragon)

Designer: Martin Wallace

Descrizione: Rocketman è un gioco di costruzione mazzo il cui scopo è l’esplorazione spaziale contemporanea e di prossima realizzazione, infatti è basato su 3 livelli di esplorazione: l’orbita terrestre, la Luna e Marte. L’ambientazione scientifica è prevalentemente tecnologica, portando nel gioco elementi realistici come satelliti, astronavi, stazioni spaziali e basi lunari e marziane. Le tecnologie sono anche usate per le risorse in gioco (che vanno a costruire il mazzo durante la partita), basandosi tutte su tecnologie realmente sviluppate (come tute spaziali e ricerca biogenetica) o in fase di ricerca (reattori a fusione nucleare)

Numero giocatori: da 1 a 4 giocatori

Fascia d’età: scuole superiori e adulti

Tempo della partita: 45-90 minuti

Soft skills e competenze sollecitate: strategia

Significatività rispetto all’astrofisica: Il gioco cavalca il trend di interesse per la corsa all’esplorazione dello spazio a livello privato (infatti durante la partita il giocatore si identifica con un’azienda di esplorazione spaziale). La pertinenza è prettamente di ambientazione, non nelle meccaniche che sono abbastanza comuni per giochi di costruzione mazzo.

Attività in classe:Il gioco presenta un regolamento molto macchinoso e le carte, avendo una doppia funzione sia di missione che di risorsa che varia da turno a turno, risultano essere molto sature di simboli tra cui districarsi durante la lettura del regolamento, che richiede un tempo paragonabile al tempo di gioco. Una volta iniziato, però, il gioco scorre abbastanza velocemente e linearmente come una corsa a chi realizza per primo le diverse installazioni sui tre oggetti del sistema solare coinvolti. Personalmente il gioco è molto divertente e coinvolgente come meccanica competitiva, ma vista la complessità di spiegazione del regolamento e la poca trasmissione di concetti astrofisici o di ricerca, non lo troverei indicato per un’attività didattica nelle scuole.

Recensione a cura di: Giannandrea Inchingolo